Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini a confronto

Biografie a confronto

Dal punto di vista biografico, si possono delineare alcune analogie e differenze tra gli autori, che possono considerarsi coevi: Machiavelli nacque nel 1469, Guicciardini nel 1483. Entrambi, poi, lavorarono per la Repubblica, in un periodo in cui tale regime era alternato dalla presa di potere da parte della famiglia medicea. Machiavelli divenne Segretario degli affari interni nel 1498, anno in cui vigeva la cosiddetta repubblica dei Piagnoni. Fu tuttavia esiliato e sottoposto alla temutissima tortura della corda non appena i Medici annientarono il repubblicanesimo. In tale occasione, contrariamente al Segretario, Guicciardini - divenuto da appena un anno ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattolico - mantenne incarichi importanti lavorando per la nobile famiglia fiorentina: fu uomo di legge, politico accorto e addirittura ingegnere progettista di macchine belliche. L’apice della sua carriera fu raggiunto nel 1516, quando fu nominato governatore di Modena. Ad ogni modo, anche le sue sorti, in fin dei conti, furono alquanto spiacevoli, dal momento che venne anch’egli estromesso dalla realtà politica fiorentina in occasione del Sacco di Roma del 1527. Si ricorda che, essendo Francesco stato fautore della Lega di Cognac, un tale riscatto da parte di Carlo V risultò per lui fatale. Entrambi gli autori, pertanto, trascorsero i loro ultimi anni in isolamento, Machiavelli a San Casciano e Guicciardini ad Arcetri, impegnandosi nella stesura di alcune delle loro opere più note.

Differenze nella visione del mondo

Machiavelli

Guicciardini

Il rapporto con la fortuna

Un ulteriore spunto di riflessione sul quale tracciare un confronto tra i due autori consiste nel rapporto con la fortuna. Machiavelli esplora il rapporto tra uomo e destino, dove quest’ultimo viene descritta da due potenti metafore. Una prima associazione ad un fiume rovinoso, che può devastare tutto ciò che incontra sul suo cammino, ma che può essere controllato mediante la costruzione di argini mette in luce la convinzione di Machiavelli che, sebbene la fortuna sia una forza potente, essa non è completamente ineluttabile, e l’uomo, agendo con decisione, può contenerne gli effetti. In secondo luogo, la fortuna è associata anche a una donna, che può essere "battuta e urtata" per essere dominata: viene evidenziata ulteriormente una visione di uomo capace di autodeterminarsi, oltre che a riflettere in questo caso una mentalità profondamente misogina. Tale immagine rafforza l'idea che la fortuna favorisca chi sa imporre la propria volontà con determinazione, un concetto che Machiavelli vede incarnato dal "vir", l'uomo dotato di virtù nel senso di capacità d’azione e risolutezza, e che perciò si discerne dai semplici “mas” e “omo”. La visione messa in atto da Guicciardini, invece, è di stampo più pessimistico: nei Ricordi, scrive che “[...] la fortuna ha grandissima potestà, [...] e benché lo accorgimento e la sollicitudine degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna”. L’accostamento che viene fatto, in questo caso, è della fortuna come il mare: quando è in tempesta, non c’è argine in grado di bloccare la sua veemenza.

Pragmatismo o idealismo?

Riconsiderando i cenni biografici di entrambi gli autori, si è già in grado di tracciare una prima enorme differenza che li distingue, che può essere constatata con certezza anche all’interno delle loro opere. Al rientro dei Medici a Firenze, mentre Machiavelli trovò serie difficoltà a mantenere lo status sociale che con fatica era riuscito a costruirsi, Guicciardini riuscì a mantenere una posizione politica di rilievo. Si può dedurre dunque che, mentre Guicciardini agisce efficacemente sul piano pratico, la praticità è invece una caratteristica che manca al Segretario, che si sofferma quasi unicamente su quello teorico. Per spiegare meglio questo concetto può essere citato un breve ed esemplificativo aneddoto. Entrambe le figure sono state chiamate a capitanare una milizia di soldati recalcitranti. Mentre Machiavelli non è minimamente in grado di metterli in riga, Guicciardini, seppur mediante urla minacciose, riesce velocemente a ripristinare l’ordine. Questa netta discrepanza tra i due autori, inevitabilmente, si riflette in modo evidente nel loro prodotto letterario. Da una parte si esamina Machiavelli, abile trattatista che infarcisce i suoi discorsi, ineccepibili dal punto di vista logico, di connettori, di proposizioni subordinate e di coordinate disgiuntive - come nel suo “procedere dilemmatico”. Voltando lo sguardo verso Guicciardini, si osserva una scrittura priva di ornamenti sintattici e retorici, e, soprattutto, molto meno articolata rispetto alla prosa machiavellica. Le sue tesi - non è un caso - vengono espresse non mediante trattati, ma tramite concisi aforismi. E non è nemmeno un caso che i suoi Ricordi siano stati definiti un "antitrattato": anche se i contenuti non mancano, è come se le numerose argomentazioni tipiche del trattato siano state scardinate e ridotte ad un semplice elenco numerato di pensieri.

Rapporto con la storia

Si può considerare ora un secondo importante aspetto in grado di differenziare i due autori: il rapporto che essi hanno con il passato: eventi già accaduti nella storia possono ripresentarsi nel presente? Bisognerebbe prendere ispirazione dalla storia? Si denota, da alcune opere di Machiavelli, in particolare nel Principe e nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, come secondo lui la storia passata costituisca una fonte di apprendimento per il presente. Già a partire dalla dedica del Principe a Lorenzo de’ Medici, l’autore confessa che il suo obiettivo sia quello di partire dalla considerazione di uomini valenti, che ha studiato a lungo, per delineare la figura di un principe perfetto. La storia è maestra di vita (historia magistra vitae) proprio perché l’uomo è sempre uguale a sé stesso, a prescindere dall’epoca storica nella quale vive. Considerazioni di questo genere continuano nel VI capitolo, dove Machiavelli si avvale di esempi della storia passata per dimostrare le sue tesi. Il principio dell’imitazione, secondo lui, non può avvenire unicamente nella poesia, ma anche nella politica. A fronte della citazione di illustri esempi, Machiavelli scrive che si comporterà come “arcieri prudenti”, che, con un obiettivo molto lontano, mirano verso l’alto senza la pretesa di fare centro al primo colpo, ma al fine di avvicinarsi il più possibile al bersaglio. Fuor di metafora, quindi, lo scopo di Machiavelli consiste nell’avvicinare il più possibile il suo modello alla realtà. Un ulteriore esempio machiavellico di historia magistra vitae si osserva nei Discorsi: per ottenere il potere politico, ma soprattutto per riuscire a mantenerlo, bisogna seguire le orme del Romanum exemplum. La relazione di Guicciardini con la storia è radicalmente contrastante a quella appena descritta: la storia non può essere maestra di vita perché non è mai in grado di ripetersi in maniera identica, poiché sussisteranno sempre piccole contingenze a rendere qualsiasi situazione nuova, mai vista prima. Se in passato un provvedimento politico è stato adatto al fine di risolvere una precisa problematica, non è detto che, al ripresentarsi di una situazione simile nel presente, la medesima misura possa essere idonea, proprio perché la precisa contingenza verificatasi nel passato non è mai uguale a quella del presente. Questa diatriba nel rapporto con la storia ricorda vagamente l’acceso dibattito avvenuto tra Poliziano e Cortese riguardo all’utilizzo corretto del latino. Mentre Cortese, paragonabile a Machiavelli, sottolinea il bisogno di imitare i classici in modo fedele, Poliziano non ha intenzione di mettere i propri piedi dove gli autori latini hanno lasciato le loro impronte: il loro messaggio va carpito, ma bisogna mantenere una propria identità. I due dibattiti sono quasi analoghi, anche se su argomenti differenti, e mettono in opposizione la volontà di attingere a ciò che il passato ha da offrire e quella di ispirarsi ad altro, come alla propria identità stilistica nel caso di Poliziano, oppure all’esperienza e al proprio tornaconto, nel caso di Guicciardini. In merito al tema dell’esperienza si è espresso in modo netto lo scrittore francese La Rochefoucauld, vissuto più di un secolo dopo Machiavelli e Guicciardini. Egli scrive: “[...] è più necessario studiare gli uomini che i libri”: bisogna pertanto anteporre, all’aspetto puramente teorico offerto dai libri, un’esperienza concreta dei fatti. Guicciardini si ritrova fortemente a favore di questa tesi, mentre la posizione di Machiavelli potrebbe definirsi intermedia. Nella lettera al Vettori, per esempio, scrive di essere solito ad osservare gli abitanti del piccolo borgo di contadini vicino a San Casciano, dove si era ritirato in seguito all’esilio, e di interloquire con loro all’interno di un’osteria di paese. Tuttavia, al calar del sole trascorre molto tempo, seduto al suo scrittoio, a leggere i grandi classici degli autori latini, a tal punto da dimenticare ogni affanno della vita e da non essere spaventato né dalla povertà, né dalla morte. Non è detto, quindi, che l’esperienza e la teoria non possano essere conciliate.